Tutto
potrebbe finire da dove è iniziato. O forse, come cercano di illudersi alcuni
grillini della prima ora, «è solo una prova di maturità». Beppe Grillo, per
queste Regionali, non ha fatto campagna elettorale. Né in Calabria né, fatto
ancora più sintomatico, in Emilia Romagna, dove per la prima volta il suo
Movimento aveva abbandonato la rete e si era materializzato nel «mondo reale».
Un atteggiamento completamente opposto a quello degli ultimi anni, quando l’ex
comico trascinava il Movimento 5 Stelle verso percentuali da partito di
governo, sfruttando quasi esclusivamente la forza dei suoi comizi-show.
Ora,
invece, proprio nella regione dove è arrivato per la prima volta il radicamento
sul territorio e sono stati eletti i primi consiglieri e i primi sindaci, ecco
la decisione non detta di alzare bandiera bianca e lasciare il passo perfino
alla Lega "nazionale" di Salvini. «In questa regione molti hanno
identificato Beppe Grillo come un problema – prova a spiegare Max Bugani,
facendo riferimento alle prime espulsioni ed ai dissidi col sindaco di Parma,
Federico Pizzarotti -. Il M5S però non può prescindere da lui. Però dobbiamo
crescere, imparare dagli errori e presentarci pronti per governare tra cinque
anni».
Il
voto di oggi e domani è ormai diventato un referendum sulla linea politica: si
sfidano la fazione legata allo staff di Gianroberto Casaleggio e quella che si
riconosce nella linea più dialogante del sindaco di Parma secondo uno schema
che si replica specularmente in Parlamento a Roma. La linea di Casaleggio
finora ha avuto la meglio: la vigilia del voto ha visto il progressivo
isolamento di Pizzarotti e l’allontanamento di militanti storici come il
capogruppo in Regione Andrea De Franceschi, quest’ultimo vicino proprio al
sindaco. Allo stesso tempo sono cresciute le quotazioni dell’ultra-ortodosso
consigliere comunale di Bologna Matteo Bugani, avversario politico di
Pizzarotti e promosso speaker M5S durante la Festa Cinquestelle al Circo
Massimo a Roma.
Se
in Emilia sono arrivati i primi successi, a Bologna si sono consumate anche le
prime faide interne con le prime espulsioni eccellenti nella breve storia
politica pentastellata: da quella del consigliere regionale Giovanni Favia nel
2012 a quella inaspettata di De Franceschi lo scorso mese. Giulia Gibertoni è
la candidata 5S alla presidenza dell’Emilia-Romagna ma si trova ad avere un
compito particolarmente difficile: provare a tenere insieme tutte le fazioni
del partito.
La
realtà è che il Movimento è in grave crisi, di consenso e soprattutto di idee.
L’apice della loro avventura politica, Grillo e i grillini l’avevano raggiunto
alle elezioni Europee di quest’anno, quando avevano lanciato la sfida al Pd di
Renzi, relegando Berlusconi e il centrodestra, dopo 20 anni, nel ruolo di
comprimari. Ma la "spallata" non spalancò le porte del governo, bensì
portò solo a fratture ed emorragie interne. Grillo, che al contrario delle
letture semplicistiche aveva cominciato con linee e battaglie ben precise lontane
dall’antipolitica, ha iniziato a rincorrere i potenziali elettori percorrendo
come una scheggia impazzita tutto l’arco costituzionale, disorientando i suoi
stessi simpatizzanti e militanti.
Immigrazione,
ambiente, temi etici, economia, grandi opere. Oggi i consigli comunali di mezza
Italia sono pieni di paciosi consiglieri ambientalisti che hanno assistito in
tv alla stretta di mano fra il loro mentore e l’ultraconservatore inglese Nigel
Farage. Proprio loro, che avevano tirato le fila del referendum 2011 sull’acqua
pubblica. Le espulsioni, la delegittimazione della rete (il reato di
clandestinità ne è l’esempio) e le promesse mai mantenute sulla democrazia
digitale, hanno fatto il resto. Grillo è un uomo (politicamente) confuso e
solo, scavalcato a destra dalla "nuova" Lega di Matteo Salvini, e
diseredato da quella sinistra, radicale e ambientalista, che lo aveva accolto a
braccia aperte sin dal 2007 e che ora lo considera alla stregua di Casapound.
L’apice, quella brutta frase pronunciata al Circo Massimo: «Renzi, sbrigati a
far fallire l’Italia, così andiamo a governare noi». L’Italia, pur incerottata,
c’è ancora. Il fallimento ora lo rischia qualcun altro.
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