Il grillino
Ciampolillo fa parte della commissione Comunicazioni che della Vigilanza dei
servizi radiotelevisivi. Appena eletto senatore ha ceduto le quote del suo
network di emittenti, ma alla madre.
Capita così che sul senatore Alfonso Ciampolillo piova
il sospetto di un conflitto d’interessi in stile berlusconiano. M5S della
primissima ora, candidato sindaco a Bari nel lontano 2009, quando le
percentuali erano davvero da prefisso telefonico (0,4%), era proprietario fino
allo scorso anno di un network di tre radio locali pugliesi. Radio Alta, Bari
Radio Uno, Radio Terlizzi Stereo. Musica e impegno: il consiglio comunale di
Rutigliano gli affida il bando per la trasmissione delle dirette del consiglio
comunale.
Appena
entrato a Palazzo Madama, Ciampolillo diventa membro sia della commissione
Trasporti e Comunicazioni che commissario in Vigilanza dei servizi
radiotelevisivi e allora decide di disfarsi delle quote. Ne cede il 95 per
cento. A sua madre. Conflitto d’interessi? «Assolutamente no, io sono un
dipendente Telecom, quello delle radio è solo un hobby», replica lui. È così,
lavora nel colosso delle telecomunicazione dal 1999 e lì svolge l’attività
sindacale nell’Ugl, incarico che lascerà all’inizio del 2013 prima di entrare
in Parlamento. I sindacati. Quelli «vecchi e dunque da eliminare». Parola di
Grillo.
Inoltre le tre radio di Ciampolillo accedono agli
odiatissimi finanziamenti pubblici e pagano l’energia elettrica a un prezzo basso.
Lui risponde serafico: «Lo so che nel M5S siamo per eliminarli, ma o li togliamo
tutti o, se uno li prende, allora anche gli altri li devono prendere.
Altrimenti non lavoreremmo a condizioni di mercato».
«Stiamo tra la gente, basta tv», diceva ieri
Luigi Di Maio, affacciandosi al Tg3 per esercitarsi sulla fune: «Vale la linea
che sarà votata in assemblea», spiegava, come se la linea in questi mesi non
l’avesse tracciata l’asse Genova-Milano. «Dobbiamo stare al fianco dei
cittadini. Cercare di risolvere le ingiustizie», proseguiva, dicendo in pratica
che hanno ragione tutti, da quelli che «il Parlamento è una fogna», ai
«facciamo autocritica».
mader
Francesco Maesano
per La Stampa
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