Mercoledì i grillini auguravano un tumore ai figli
dei democratici. Tutto dimenticato.
Ieri Pd e M5S si
sono usati la cortesia di eleggersi vicendevolmente i candidati alla Corte
Costituzionale e al Csm, in vista di una più vasta alleanza sulla futura legge
elettorale.
È questa la
materia di cui è fatta la politica. Ma certo ci vuole un fisico bestiale e/o la
memoria molto labile per mandar giù così anni di contumelie grilline. Ancora
mercoledì sera qualche senatore dem raccontava a Repubblica che i colleghi
pentastellati avrebbero augurato un tumore ai loro figli secondo uno stile un filino
sopra le righe che è proprio del duo G&C e dei loro followers . Ma almeno
Grillo ravviva il tutto con l'ironia acida del mestierante. Per lui Renzi è
stato, ancor prima di diventare premier, «ebetino» (si trova traccia di questo
appellativo sin dal 2009), il «pollo che si crede un'aquila», il «fantasma di
un ex sindaco» che si aggira «in una Firenze strangolata dei debiti». Grillo
gli ha diagnosticato addirittura l'«invidia penis» per il programma elettorale
del MoVimento 5 Stelle. Sublime la poetica dadaista di questa immagine: «Hanno
bussato alla porta e non c'era nessuno. Era Matteo Renzi». E quando Renzi si
presentò dalla De Filippi disinvolto con il suo giubbotto di pelle, aggiungere
una «e» alla fine del cognome fu un attimo. Era nato «Renzie».
Naturalmente
l'ascesa dell'ex sindaco di Firenze è andata di pari passo con un' escalation
dell'offesa un tanto al chilo. Grillo preparò il confronto in streaming dello
scorso febbraio durante il trasloco di Renzi a Palazzo Chigi definendo questi
il «vuoto assoluto», un «cartone animato», uno «mandato al governo dalle
banche», un «Arlecchino con due padroni: De Benedetti e Berlusconi». Poi,
durante il confronto, un nuovo assalto verbale: «Qualsiasi cosa dici non sei
credibile», «fai il giovane ma non lo sei», «sei una persona buona che
rappresenta un potere marcio».
Una palette di
contumelie che fa sembrare scarno il pur ricco campionario di insulti riservato
al predecessore di Renzi, quel Pierluigi Bersani così antropologicamente
diverso eppur ugualmente preso di mira attingendo al repertorio pop dei fumetti
(«Gargamella»), dell'horror alla Romero («è quasi un morto», con l' upgrade
«morto che parla») e del più rassicurante cinepanettone («ha la faccia come il
culo»). Ma Grillo ha trovato tempo e modo per prendersela anche con Romano
Prodi («Alzheimer»), con Walter Veltroni («Topo Gigio»), con Giorgio Napolitano
(«Morfeo») e Piero Fassino («a furia di frequentare salme si diventa salma»),
mentre c'è da dire che è stato insolitamente lieve con quel Bot della risata
per due generazioni di umoristi a corto di talento che è Rosy Bindi: «Problemi
di convivenza con il vero amore probabilmente non ne ha mai avuti», è tutto
quel che la senatrice Pd ha ispirato al genio di Grillo. Deludente, no?
Purtroppo il M5S
è pieno di cattivi imitatori di Grillo, come dimostra il caso del cittadino
deputato Massimo De Rosa, che qualche tempo fa, nella gazzarra seguita
all'occupazione della commissione Giustizia da parte dei suoi, così zippò il
curriculum vitae delle parlamentari Pd: «Sono arrivate qui soltanto perché
capaci di fare i p... ni». E pensare che le malcapitate non stavano nemmeno
mangiando un gelato.
mader
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