martedì 14 ottobre 2014

GENOVA, PER I RITARDI ANCHE IL RUOLO DI ‘MANI PULITE’



Ancora una volta il torrente Bisagno ha coperto di lutto e disperazione il cuore di Genova. La sua violenza ha travolto tutto ciò che ha incontrato nel suo percorso, portandosi dietro anche la vita di un pover’uomo.

Non è la prima volta che accade, la prima alluvione data 1895, ma sono quelle più recenti del 1970, del 1992,  del 2011 e ora del 2014 che restano ancora impresse nella memoria delle persone, per la gravità dei lutti e dei danni arrecati.

Oggi domina la rabbia e la disperazione contro tutti, e la classe politica in particolare, accusata di non aver mai fatto quanto serviva per rendere sicuro il territorio.

La storia del Bisagno affonda le sue radici nelle scelte urbanistiche che si sono susseguite dall’epoca fascista fino agli anni 70. La copertura del tratto verso la Foce per realizzare la mastodontica piazza della Vittoria e i lunghi viali che dalla Stazione Brignole conducono al mare, ha preceduto successivi interventi come Corte Lambruschini e la selvaggia urbanizzazione delle colline e del fondovalle che gravano sulla piana del torrente.

Tutto ciò ha determinato una sofferenza dei rivi affluenti il Bisagno (tra cui il Fereggiano) e ridotto la capacità di portata del torrente principale, oggi in grado di reggere una portata di 800.000 mc al secondo contro quella necessaria, in caso di piena duecentennale, di 1.400 mc/sec.

Ma c’è anche un’altra storia che va raccontata e che non bisogna dimenticare.

Verso la fine degli anni ‘90 i socialisti, allora al governo della città, sostennero con grande forza, e non senza polemiche, la necessità di realizzare un canale scolmatore che deviasse l’immissione nel Bisagno del torrente Fereggiano con il duplice obiettivo di aumentare la capacità del Bisagno e mettere in sicurezza il Fereggiano.

Eravamo nel pieno di Mani Pulite e un’inchiesta costrinse i due Assessori socialisti (Saitta e Timossi con deleghe specifiche) particolarmente impegnati nella realizzazione dell’opera, alle dimissioni, salvo uscire indenni, dopo dieci anni di processi, da qualsiasi accusa.

Il Commissario che subentrò alla Giunta di allora bloccò l’opera, così come fece il successivo Sindaco Sansa e il Comune dovette persino risarcire a suon di miliardi delle vecchie lire, l’impresa che nel frattempo aveva scavato qualche centinaio di tunnel.

Nessuna successiva indagine su eventuali responsabilità politiche, penali ed erariali fu condotta.

Negli anni successivi (Giunta Pericu) prese finalmente avvio la prima fase dei lavori per l’adeguamento del tratto terminale del Bisagno alle corrette portate. La seconda fase, che se, al pari dello scolmatore del Fereggiano, fosse stata realizzata, sarebbe oggi risultata quasi certamente risolutiva, è ferma da 2 anni e mezzo – con progetti approvati e fondi disponibili- a causa di ricorsi, cavilli burocratici e ritardi incomprensibili della giustizia amministrativa; resi possibili da un Codice degli Appalti che, confidiamo tutti, il Vice Ministro Nencini riesca a modificare quanto prima.

Per il Fereggiano si aprono in questi giorni le buste delle offerte per la relativa gara, finalmente bandita, dopo oltre 20 anni!

Questi i fatti che sovrastano qualsiasi altra polemica su ritardi colpevoli nel dare l’allerta e sulle previsioni non centrate dell’Arpal.

E, in queste condizioni, ove alla giusta disperazione e sconforto dei cittadini si aggiunge la riprovevole speculazione e strumentalizzazioni politica, bisognerà cercare di sopravvivere fintanto che le principali opere non saranno terminate; e occorreranno almeno 4 anni.

Nell’attesa, il ruolo e la responsabilità di ognuno di noi è grande, così come ci ricorda lo scrittore Maurizio Maggiani, su Il Secolo XIX di domenica: “Io credo onestamente, che con tutto quello che può fare e che umanamente possiamo aspettarci da scienza, politica e industria, al punto in cui siamo poco può essere davvero fatto perché possa diventare rassicurante vivere in questa infinita maceria su cui poggia la città di Genova.
 
E onestamente credo che dobbiamo imparare a sopravvivere in questa maceria. Assumerci il notevole peso di essere meteorologi accorti e esperti conoscitori del territorio, scrupolosi manutentori della soglia di casa e severe sentinelle a guardia della nostra vita, del nostro quartiere, della collina alle nostre spalle, del rio a fianco del nostro giardino. Il punto non è se ci competa o no. Il punto è che non vedo altro modo di sopravvivere nell’età in cui vanno a scadenza tutte insieme le cambiali che abbiamo firmato con il cielo e la terra, noi, i nostri padri, i nostri nonni. O loro, i loro padri eccetera, poco importa.”

mader

Arcangelo M. Merella
Responsabile nazionale infrastrutture PSI
già Assessore alla Protezione Civile del Comune di Genova
per Avantionline.it

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