A
poco più di tre mesi dalle elezioni europee che hanno fatto segnare un
ridimensionamento del consenso del Movimento 5 stelle (ha ottenuto 5,8 milioni
di voti perdendone quasi 3 rispetto alle Politiche), il giudizio per l’operato
del Movimento è positivo per un elettore su quattro (26%) e negativo per il
71%. Tra coloro che hanno votato per l’M5S nel maggio scorso prevale largamente
il consenso (78%) mentre il 21% si dichiara deluso.
In
generale le opinioni negative prevalgono su quasi tutti gli aspetti considerati
nel sondaggio odierno. Vediamoli in dettaglio: il 54% non è disposto a
riconoscere che il Movimento abbia contribuito a svecchiare la politica prima
che lo facesse Renzi, il 57% non ritiene che coinvolga realmente i cittadini
nelle decisioni, il 54% pensa che faccia molte polemiche senza progetti
concreti.
Da
ultimo, le opinioni si dividono tra coloro che ritengono che le proposte
avanzate siano diverse, poco coerenti e finalizzate unicamente a cercare
consenso (46%) e coloro che sono di parere opposto (49%). Il consenso per il
movimento di Grillo è più elevato nelle classi centrali di età (tra i 30 e i 50
anni) e, ancora una volta, tra i segmenti più toccati dalla crisi: lavoratori
autonomi, disoccupati, casalinghe e residenti nelle regioni meridionali.
Sono
lontani i tempi in cui i sondaggi sugli orientamenti di voto facevano
registrare il M5s al primo posto e Beppe Grillo risultava tra i leader più
apprezzati. Oggi il movimento vive una fase di oggettiva difficoltà, non sembra
in un momento espansivo, sconta la parziale delusione di oltre un quinto del
proprio elettorato attuale e risulta penalizzato dai dissensi interni che
periodicamente affiorano.
A
cosa è dovuto questo mutato atteggiamento nei confronti del M5s? Indubbiamente
il successo di Renzi, le sue proposte e il suo modo di fare politica hanno
indebolito il movimento di Grillo. Infatti, alcuni dei temi messi in agenda dal
premier fin dall’inizio del suo mandato rappresentano i tradizionali cavalli di
battaglia del M5S, basti pensare ai costi e ai privilegi della politica (e non
solo): i provvedimenti che hanno riguardato le Province, la riduzione delle
auto blu, il tetto agli stipendi dei manager pubblici, la proposta di riforma
del Senato, solo per fare qualche esempio, sono andati nella direzione
auspicata dall’opinione pubblica.
Inoltre
Grillo e il suo movimento da sempre hanno dato voce ad una domanda, molto
diffusa nel Paese, di rinnovamento, di ricambio generazionale e, soprattutto,
di «disintermediazione»: una sorta di messa in discussione della rappresentanza
da parte della base. Ebbene, Renzi ha un piglio decisionista ed evita di
confrontarsi con i corpi sociali intermedi, a partire dal sindacato e dalle
associazioni di categoria, ritenendoli spesso un elemento di freno. Insomma, il
premier mette in atto una sorta di disintermediazione «dall’alto».
Tutto
ciò ha determinato un’erosione, da parte del Pd, del largo consenso ottenuto lo
scorso anno dal M5s testimoniato dall’analisi dei flussi elettorali: oltre un
milione di elettori del 2013 hanno abbandonato il movimento di Grillo
preferendo il Pd alle Europee, contro quasi 300 mila che hanno fatto il
percorso inverso.
Il
Movimento 5 stelle quindi appare in mezzo a un guado: ha posto le basi per
avviare un processo di profondo cambiamento ma non riesce a portare a casa i
dividendi. E le molte proposte che avanza si scontrano con due difficoltà:
innanzitutto non vengono considerate come parte di un progetto complessivo.
A
questo proposito solo il 39% ritiene che ciò sia responsabilità dei media che
non forniscono una corretta informazione (85% tra gli elettori grillini). In
secondo luogo per far approvare le proposte è necessario avere i numeri in
parlamento e, quindi, ricercare le alleanze.
Ma
la ricerca di alleanze rischia di compromettere l’immagine di «diversità» del
movimento rispetto ai partiti tradizionali. E questa diversità rappresenta il
tratto distintivo e il principale denominatore comune di un elettorato che non
appartiene a un blocco sociale omogeneo ma ha caratteristiche e provenienze
diverse ed esprime bisogni e aspettative non sempre convergenti sui principali
temi: lavoro, crescita, immigrazione, tasse, servizi, Europa.
E
il dilemma sembra proprio questo: conviene continuare a puntare
sull’antipolitica e sulla disintermediazione pur nella consapevolezza che
rispetto al passato sono armi spuntate oppure promuovere proposte innovative
ricercando alleanze in Parlamento, con il rischio di contaminarsi con la
politica tradizionale e di perdere il principale fattore identitario?
mader
Nando Pagnoncelli per il Corriere
della Sera
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