martedì 6 gennaio 2015

IL LIBERISMO DI MATTEO SALVINI



Partiamo dalla considerazione che un politico, qualunque politico di qualsivoglia colore, punta a dire quel che porta voti. La gente pensa che le tasse siano troppo alte? Abbassiamole; l’immigrazione inizia a rappresentare un problema per molti? Riduciamola; l’Europa è vista come un ente burocratico che soffoca cittadini e imprese con tasse e regolamenti? Usciamone o controlliamola, a seconda degli orientamenti.

Lo fanno tutti da Matteo Renzi a Silvio Berlusconi fino a Beppe Grillo e Matteo Salvini ovviamente non fa eccezione. Giusto questa mattina l’amico Giancarlo Pagliarini faceva notare l’abbandono da parte della nuova Lega di alcune tematiche proprie del Carroccio dei primi tempi. Il che è lapalissiano. Dalla nostra, però, non possiamo non notare nelle dichiarazioni di Salvini un’evoluzione in senso liberale se non addirittura liberista, che non può che farci piacere.

Prendiamo i post della sua pagina Facebook delle ultime ore. «Invece di fare e disfare leggi pro o contro Berlusconi – scriveva qualche ora fa – un governo serio dovrebbe lavorare per cancellare gli STUDI DI SETTORE. In un momento di crisi come questo, sono una follia! Sono l’unico a pensarla così. Sicuramente no, anche noi la pensiamo così. «Nel 2014 sono diminuite dello 0,4% le entrate tributarie statali. Più le tasse aumentano, meno la gente lavora, e quindi non paga. Perché la Sinistra non riesce a capirlo?», ribadiva qualche ora prima citando, forse inconsciamente, la Curva di Laffer. Due giorni fa scriveva: «Flat Tax, via gli studi di settore e la legge Fornero, liberazione dall’Euro. La crisi si combatte così, le vite si salvano così: chi lo spiega a Renzi?».

Il programma, letto superficialmente, appare quasi perfetto. Il problema sta nel fatto che, a fronte dei giusti tagli si imposte, non si prevede una sola riduzione di spesa. Riprendiamo l’ultimo post: Flat Tax e abolizione degli studi di settore riducono i fondi al fisco, l’abolizione della legge Fornero non riduce le uscite. La Fornero andrebbe abolita, per carità, tagliando però le pensioni di chi riceve un assegno ben più pingue di quanto ha versato durante la vita. Ovvero si dovrebbero ricalcolare tutti gli assegni con sistema contributivo. Se non lo si fa l’abolizione della Fornero non farebbe che gravare, ancor di più, le precarie casse dell’Inps; un debito che ricadrebbe sulle future generazioni che già vedono la pensione col binocolo.  E non parliamo solo del post in questione. Nelle 35 pagine del pamphlet Basta Euro, Claudio Borghi Aquilini non sostiene la necessità di alcun taglio di spesa pubblica. Anzi in un’intervista a Libero del giugno scorso Borghi ha dichiarato: «Intendiamo sposare la filosofia opposta a quella di Mario Monti, che ha aumentato le tasse diminuendo la spesa. Vogliamo fare il contrario». Aumentare la spesa e tagliare le tasse.

Ma è possibile. Sì, direbbe il maître à penser della Lega, perché grazie alla lira uno Stato «se è in difficoltà può spendere di più per sostenere la propria economia» (da Basta Euro). Eppure dovrebbe spiegarci un paio di cose. Come mai in occasione della grande svalutazione della lira del 1992 l’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato fu “costretto” (avrebbe potuto tagliare la spesa) a prelevare il sei per mille dai nostri conti e introdurre l’Ici sugli immobili? Perché mai alzare le tasse quando si può creare moneta virtuale sfruttando la sovranità monetaria?

La storia dell’aumento dell’Iva dovrebbe farci riflettere: era al 12% nel 1973 (prima non esisteva) poi fu portata al 14% nel 1977, al 15% nel 1980, al 18% nel 1982, al 19% nel 1988, al 20% nel 1997. Con la lira è aumentata dell’otto per cento in 24 anni, con l’euro del due per cento in dodici, esattamente la metà. Come mai? La risposta è semplice: le tasse si alzano quando si alza la spesa, indipendentemente dalla valuta adottata.

Ecco l’unica piccola grande fallacia nel pensiero di Salvini.

mader

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