Sicuramente
nel Pantheon del giovane Luigi Di Maio, astro nascente del movimento 5Stelle e
della politica italiana, c’è più Pinochet che De Gasperi. Mi dicono che sia di
famiglia fascista. Beh, un po’ si vede. E però, anche durante il fascismo, un
simulacro di Stato di diritto era rimasto in piedi. Magari era solo una
formalità, però il processo penale era previsto e nessuno poteva essere
condannato senza processo. Persino Gramsci e Pertini ebbero diritto alla
difesa, anche se sostanzialmente la loro condanna era stata decisa dal duce. Di
Maio non si preoccupa neppure della formalità. Dice che lui non vuole più
sentire parlare di presunzione di innocenza.
Per
questo penso che debba avere una simpatia spiccata, ad esempio, per Pinochet,
perché frasi di questo genere, nel dibattito pubblico, in Europa non le avevo
mai sentite.
L’altra
sera in Tv, a ”Virus” sulla seconda rete, sembrava di ascoltare il
rappresentante di qualcuna delle tante feroci dittature latinoamericane degli
anni settanta.
Naturalmente
voi potete dire che semplicemente l’errore è di chi ha pensato che questo Di
Maio fosse un ragazzo brillante. Perché invece, forse, non ha mai letto un
libro in vita sua, forse non conosce la Costituzione, né i principi degli Stati
liberali, o forse è solo una fascistello con la cravatta.
Possibilissimo.
Però Di Maio Luigi, nato ad Avellino nel luglio del 1986, sebbene sia il più
giovane vicepresidente della Camera di tutti i tempi è pur sempre il
vicepresidente della Camera. Cioè è uno dei massimi rappresentanti del popolo.
Credo che la sua sia in ordine gerarchico la quarta o la quinta carica dello
Stato repubblicano. E l’atro giorno ha pronunciato esattamente questa frase, in
pubblico, davanti a una telecamera: ”Non voglio più sentir parlare di
presunzione di innocenza”. Cosa succederebbe se cadesse il principio di
presunzione di innocenza? Naturalmente che non sarebbero più necessari i
processi. Se una persona è colpevole prima del processo, come pensa Di Maio, il
processo è superfluo. Oppure forse Di Maio pensa al rovesciamento dell’onere
della prova: chi è sospettato da un magistrato è colpevole finché non sia in
grado di dimostrare la sua innocenza…
A
me non interessa polemizzare con Di Maio, che francamente non mi pare un genio.
Mi interessa polemizzare con tutti coloro – a partire dallo stessa presidente
della Camera , e poi gli altri vicepresidenti, e poi i capi dei gruppi
parlamentari, e poi i segretari dei partiti – non hanno sentito il dovere, di
fronte ad una sfida così grossolana alla democrazia, di presentare
immediatamente una mozione di sfiducia verso Di Maio per rimuoverlo dal suo
incarico.
Si
pensò a suo tempo ad una mozione di sfiducia, mi ricordo, contro Fini,
colpevole solo di essere uscito dal Pdl… In altri paesi si giura sulla
Costituzione. In Italia no, e dunque Di Maio, affermando la presunzione di
colpevolezza, non ha commesso spergiuro. Però certamente ha ingiuriato la
Costituzione (della quale spesso il suo capo esalta le doti meravigliose). Come
è possibile che questo fatto, gravissimo, non abbia suscitato nessuno scandalo,
non sia stato ripreso dai giornali, non abbia prodotto interpellanze
parlamentari, appelli di giuristi, grida indignate degli stessi magistrati?
E’
possibile, perché ormai in Italia si è affermato, neppure tanto
silenziosamente, un senso comune che non ha niente a che fare con la democrazia
e con i suoi principi. Non resterei stupito se qualche sondaggio ci dimostrasse
persino che la maggioranza degli italiani è d’accordo con Di Maio.
E
allora il problema è uno solo: la politica è in grado di reagire, di assolvere
al proprio compito di baluardo della democrazia, o la politica ormai è ridotta
al luogo dove vivacchia un piccolo esercito di codardi e basta?
Devo
dire che mi ha colpito, l’altro giorno, l’intervento di Giorgio Napolitano.
Questo giornale non è mai stato tenero col Presidente della Repubblica. Anzi, a
noi piace molto criticarlo ogni volta che ne abbiamo l’occasione. Anche
aspramente, anche con un po’ di cattiveria, perché pensiamo che sia questo il
compito dei giornali. Però l’altro giorno Napolitano ha dimostrato di essere
l’unico – l’unico – in tutto il campo politico nazionale ad avere ancora un po’
di coraggio. Ha frustato l’antipolitica, ha detto che è una malattia, che costituisce
un pericolo mortale per la democrazia.
Potremmo
commentare: beh, ha detto una banalità. E’ chiaro che è così. Il solito
Napolitano che si limita a rimarcare l’ovvio. Già, ma stavolta è l’unico.
Perché il paese intero ( o quasi), tutta la politica, tutta l’intellettualità,
è ormai da un’altra parte, completamente ubriaco, incapace di ragionare, in
grado solo di esprimere odio e vituperio per la politca, del tutto
disinteressato ai principi della democrazia e della libertà e del diritto. Lui,
Re Giorgio, è rimasto solo, e infatti, per quella banalissima affermazione di
verità, si è preso una valanga di polemiche e di improperi.
C’è
una via d’uscita? Non c’è una via d’uscita se nessun partito, nessun dirigente
politico, nessun intellettuale riesce a trovare, nella sua borraccia, almeno
una stilla di coraggio…
mader
Piero
Sansonetti per Il
Garantista
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