Più che un blog sovversivo sembra il volantino di un
pizzicagnolo di Marina di Bibbona. E infatti basta entrare in quella piazza che
un tempo fu aperta al dileggio e al pubblico sputo contro deputati, senatori,
giornalisti, per non trovarci e per non riconoscere il sedizioso Beppe
Grillo, ma il rivenditore di pneumatici, l’ambulante che vende saponette,
profumi e televisori.
E c'è perfino il vino insieme a "primi e secondi
piatti a 13 euro", insomma l’insurrezione che finisce a cacio e maccheroni,
l'agitatore che si è finalmente attovagliato.
Si consuma un tanto a click, tra l’occupazione del senato contro
l’articolo 18, le apocalissi sempre meno fantasiose di Gianroberto
Casaleggio che profetizza un grande obitorio di quotidiani («La Padania
si estinguerà nel 2015, il Fatto nel 2017, il Corriere e Repubblica
nel 2018…»), quel portale del M5S che ha infiammato e involgarito
l'Italia, il ciclostile della rabbia anticasta, lo sfogatoio di mattoidi e
cospirazionisti.
E dunque si scompone tra markette ed epurazioni anche
il sogno della democrazia dal basso e in silenzio smobilita la fanteria che
doveva mandare "tutti a casa", quel reparto di "cittadini"
che sotto l’insegna del "vaffanculo" avrebbe bonificato il parlamento,
le colonne che erano pronte a marciare su Roma per chiedere lo scioglimento del
governo a Giorgio Napolitano, anzi "al boia Napolitano". Mai
si era visto un così vasto ed esagerato scialo di consenso, mai un’occasione
era stata perduta in così breve tempo.
E ha già l’odore nostalgico anche questo raduno Italia
Cinque Stelle che Grillo ha organizzato nel suggestivo Circo Massimo di
Roma credendosi un imperatore a cavallo di una biga non accorgerdosi di
essere invece un reduce scornato in sella a un ciuco.
Deflagra come il più antico partito il movimento che
doveva sopprimere i partiti e nell’entropia, come cellule impazzite, il
dissenso si propaga da Fiorano a Roma, da Parma a Reggio Calabria tra
espulsioni e fuoriuscite, al grido “jatevenne, jatevenne”. E non è più solo
fuga, diaspora, ormai siamo arrivati al licenziamento coatto del padrone.
E' lo stesso Grillo che in Italia difende l’articolo
18 ad averlo già abolito in Europa prima ancora di Matteo Renzi e di Ignazio
Marino destituendo tutto un intero staff di 15 persone che lavora a
Bruxelles, neppure fossero gli orchestrali dell’Opera di Roma con l’indennità
frak, espulsi come i metalmeccanici che a Pomigliano espelleva Sergio
Marchionne.
Grillo farebbe bene ad ascoltare i lamenti della
provincia, dei suoi meet-up che si svuotano con la stessa velocità con cui si
riempiono, veri e propri centri per l’impiego. Quanti voti bastano per
amministrare una regione? 266 voti per amministrare l’Emilia sono bastati a Giulia
Gibertoni per essere designata, e chissà quanti ne basteranno per la
Lombardia. 300? E per il Molise? 150?
Scoppia appunto la crassa regione rossa che fu cascina
e militanza, laboratorio privilegiato per l’esperimento del comico
castigamatti. A Fiorano si è dimesso il consigliere Antonio Glorio, sostituito
da Samanta Di Fede che a sua volta si è dimessa. A Roma è stato allontanato
Andrea Aquilino, professore a La Sapienza cacciato per intelligenza con il
nemico, non la destra, ma la lobby omosessualista. A Bologna è stato estromesso
alle elezioni regionali Andrea De Franceschi con una norma ad hoc, un
farraginoso regolamento che ricorda tessere e cavilli cari al Pd, le mille
pagine del programma di Romano Prodi. Ed è tutto un borbottare contro le bolle
del politburo Grillo-Casaleggio da Parma a Ravenna, Piacenza fino a Comacchio
dove il sindaco grillino Marco Fabbri si è candidato alle elezioni
provinciali ed è stato eletto nonostante veti e divieti (a quando
l’espulsione?).
Lo ammettono pure i deputati grillini "Dove
andiamo senza Beppe", silenziati e contenti, bastonati più dai follower
che dalle televisioni, come quel consigliere regionale del Lazio, Davide
Barillari, che si lamenta dell’autovelox "168,80 di multa per eccesso
di velocità, ma è giusto?". Non i giornalisti ma il web lo ha castigato:
"Paga e zitto buffone", "e nu piagne …pensa al lato
positivo. Se hanno fatto la fotina puoi sempre pubblicare il selfie",
"la legge è legge, stacce".
E a Parma il sindaco, Federico Pizzarotti che
ben amministra ma meno asseconda, viene marchiato manco fosse un untore che
porta la pandemia della critica ideologica, la mosca cocchiera che infetta
sussurrando alle orecchie dei deputati: "Ormai la leadership è diventata
un problema" ha detto. Pizzarotti si è meritato il confino in uno dei
tanti gazebo del Circo Massimo il "gazebo Parma" declassato perché
"uno vale uno" ma Luigi Di Maio vale quasi quanto Grillo e
sarà sul palco, mentre il sindaco della "nuova Stalingrado" sarà sul
prato.
Certo, sarebbe ingiusto non ricordare la genuinità
che i deputati di Grillo hanno portato in parlamento, così come la
castroneria, ma in molti casi era vera la freschezza del principiante, quella
gendarmeria non tutta indottrinata ma munita di passione, civismo, non sempre
moto qualunquista ma fastidio, sdegno, sbuffo che Grillo ha messo nel suo cesto
e ha imbruttito. E forse dobbiamo alle ossessioni di Grillo anche la
controinformazione che colpisce tutti per primo lui. Si moltiplicano i libri, i
vignettisti che sono alla carica e lo pungono con l’arma, lo sberleffo, che
Grillo in passato ha saputo amministrare, come il versatile “Manuale
libertario contro un partito autoritario” di Alessio Spataro e Carlo
Gubitosa che ha in dote la prefazione di Federica Salsi, la prima
espulsa, sedotta e maltrattata dalla Grillo e Casaleggio Associati.
Ecco, tra scontrini esibiti e perduti, marce per
difendere la democrazia, indennità ridotte, ma non a Strasburgo dove gli
eurodeputati hanno scelto il way of life all’italiana, Grillo ha eclissato
Grillo, l’inno del M5S è addirittura una canzonetta non del rapper
maledetto, ma del rapper acqua e sapone che fa strage di ragazzine, un inno che
a dire di Fedez, l’autore, «a Grillo fa cagare...». Povera rivoluzione,
tra sfinteri, bighe di cartapesta e ramazze («abbiamo pulito il Circo
Massimo», ma era già pulito ha fatto sapere il comune di Roma), insulti da
bar sport («Grasso è come l’arbitro Rocchi») anche il ghigno di Grillo
non spaventa ma ci fa sentire il peso del tempo che passa, la parabola del
rivoltoso che si conclude non con la disfatta ma con la beffa. Da Savonarola ad
arrotino.
mader
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