Esiste un confine tra la protesta e la sceneggiata, tra la critica anche dura e la
sparata quotidiana, tra amministrare in modo più vicino alla sensibilità dei
cittadini e assecondare le pulsioni istintive e disperate. Questo confine i 5
Stelle lo stanno oltrepassando. Al punto che il movimento, divenuto appena 18
mesi fa il primo d’Italia, rischia oggi di sgretolarsi, senza che i partiti
abbiano concluso molto più di nulla nella riforma della politica e nel rilancio
dell’economia.
Certo, le cose non vanno bene per nessuno. Il governo Renzi, dopo un avvio promettente e il
successo elettorale, procede alternando proclami ed errori. Berlusconi sembra
aver rinunciato a fare del centrodestra un’alternativa credibile,
accontentandosi di una sorta di appoggio esterno all’esecutivo per gestire il
proprio declino. L’Italia è l’unico grande Paese che non ha ripreso a crescere:
la sfiducia e il disagio sociale si toccano con mano. Eppure la forza che si
proclama unica opposizione non soltanto non trae alcun beneficio dall’impasse ,
ma continua a dare prove di inconsistenza.
La battaglia contro una riforma che non convince i costituzionalisti e non appassiona
certo i cittadini è senz’altro legittima; ma i grillini non sono riusciti ad
aggregare il dissenso né dentro né fuori dal Senato, e ne escono di fatto
sconfitti, con il consueto corollario di scene imbarazzanti e difficoltà
ortografiche. Mentre i parlamentari dimostrano la loro inadeguatezza, il Comune
più importante conquistato dai 5 Stelle alle ultime e elezioni, Livorno, si
schiera in difesa di Stamina. Alla crisi del movimento si aggiunge quella del
leader. Beppe Grillo in questi anni ha dimostrato straordinarie doti di
rabdomante e di comunicatore, ha intercettato e dato voce a un disagio
trascurato dai partiti; ma ora appare intento a disperdere quel patrimonio con
una serie di dichiarazioni balneari - è l’unico politico già in vacanza - con
cui un giorno definisce Bossi «il più grande statista degli ultimi
cinquant’anni», il giorno dopo sostiene che i suoi avversari sono peggio di un
dittatore da migliaia di morti, in un crescendo che sarebbe ridicolo se non
fosse preoccupante.
Liquidare il Movimento 5 Stelle come un’ondata populista destinata a rifluire
rapidamente sarebbe sbagliato, oltre che irrispettoso del vastissimo consenso
raggiunto alle elezioni politiche (e in parte confermato alle Europee). Al
netto di un linguaggio inaccettabile, Grillo poteva rappresentare non soltanto
uno sfogo alla protesta, ma anche una novità utile a scardinare un sistema
ingessato. Chi l’ha votato, oltre a denunciare corruzione e privilegi
scandalosi, voleva sbloccare un assetto in cui al fallimento di Berlusconi
corrispondeva l’inadeguatezza del Pd di Bersani. Grillo è stato il volto
italiano di una tendenza diffusa in tutto l’Occidente (determinante anche per
il successo di Renzi): la rivolta contro le élites , il rigetto
dell’establishment ; e la dinamica in cui i 5 Stelle si muovono non è più tra
destra e sinistra, ma tra l’alto e il basso della società. È un fenomeno che
può anche avere effetti positivi, se diventa motore del cambiamento. Ma se
alimenta un falò di rabbia in cui ardono allo stesso modo colpevoli e
innocenti, se liquida il dissenso con il rito catartico del linciaggio e
dell’espulsione online , se asseconda le paure e le superstizioni
antiscientifiche, se specula sulla fragilità e sulla rassegnazione di un Paese
piegato dalla crisi, allora Grillo non serve a nessuno, neppure a se stesso.
mader
di Aldo Cazzullo per Il
Corriere della Sera
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