Il rapporto tra Beppe Grillo e l’informazione
è simile a quello di un guidatore che cerca la sintonizzazione giusta di una
stazione radio: la cerca e ricerca, ma non la trova. Se non a tratti. E’ un
rapporto conflittuale, che procede a strappi. L’umoralità dipende anche dal
personaggio, che alterna fasi di disponibilità a periodi in cui risulta
inavvicinabile.
Dichiaratamente rancoroso, non gradisce le critiche
anche e soprattutto se arrivano da chi ritiene non antipatizzante a priori: basta pensare ai recenti strali contro questo giornale, “reo”
di avere attaccato l’alleanza con Farage. E’ sempre stato così.
Per anni, quando Grillo si impegnava in una opera
meritoria di controinformazione nei palazzetti, quasi tutti i giornalisti lo
dimenticarono. Se nel 2005 proponevi all’Espresso un’intervista a
Grillo, ed era l’anno in cui aveva varato il blog, la risposta del
caporedattore alla cultura suonava più o meno così: “Perché, Grillo fa ancora
qualcosa?”. Il comico genovese si vendica ancora della sottovalutazione che ha
subito nel decennio 1995-2005, peraltro il suo vertice artistico. Ci sono poi
altri aspetti. Grillo ha sempre bastonato i giornalisti, dedicandogli invettive
spietate e il secondo V-Day (2008), che si proponeva anche di cancellare
il finanziamento pubblico all’editoria: poiché non si è mai visto un tacchino
festeggiare il Natale, è ovvio che larga parte dei media ha reagito bastonando
i 5 Stelle, con una disinformazione senza precedenti che ha peggiorato un
rapporto già problematico.
Grillo e ancor più Casaleggio credono poi che
la diversità del Movimento vada rimarcata rifiutando i canali di comunicazione
tradizionali. Da qui l’isolamento durato fino alle elezioni politiche: Grillo
non andava nei talkshow, ma costringeva i talkshow a parlare di lui. Il
massimo. Fino a quel momento le interviste erano poche e mirate, rilasciate
sempre per lanciare la volata a eventi particolari, ad esempio il primo Vaffa
Day (splendida un’intervista di Gian Antonio Stella nel 2007, durante la quale
Grillo accettò anche di parlare del famoso incidente stradale del 7 dicembre
1981).
Dopo il boom alle politiche, il problema del
rapporto con i media è diventato decisivo: la tivù sarà anche “morta”, ma è
tuttora in grado di veicolare milioni di voti, soprattutto quelli dei non
nativi digitali. Per un po’ i 5 Stelle hanno insistito con la tattica morettiana
del “mi si nota più se vengo o non vengo?”, lasciando che i parlamentari
partecipassero alle trasmissioni politiche protetti da una sorta di “parentesi”
(in collegamento o comunque interagendo solo con il conduttore). Il risultato è
stato talora surreale, per esempio il Vito Crimi che si rifiutò di
rispondere alle domande di Dario Vergassola a In Onda. Dopo
l’individuazione di alcuni parlamentari mediaticamente spendibili, la linea
Maginot è via via caduta fino allo sdoganamento del talkshow, ad esempio
Otto e mezzo e Servizio Pubblico; restano invece inaccettabili Matrix,
Quinta colonna e Piazzapulita, dopo un’intervista di Formigli a Nicola
Morra reputata scorretta.
Anche Grillo e Casaleggio si sono parallelamente
“concessi”: un comportamento per certi versi bipolare, considerando che nel
frattempo era nata la rubrica-gogna “giornalista del giorno” (e spin-off
vari). Negli ultimi giorni, a conferma di come Grillo non sia poi così
refrattario ai consigli esterni, il blog ha varato lo spazio “Giornalista
del giorno” (con la “G” maiuscola), a voler sottolineare come persino il
M5S non ignori che non tutti i giornalisti siano “servi” e “pennivendoli”. A
ridosso delle Europee, quando Grillo credeva nel sorpasso, ha avuto
luogo l’invasione televisiva: i parlamentari erano ovunque, da mattina a
sera. Il risultato deludente delle elezioni è figlio di molti aspetti e non
dell’overdose televisiva (anche se Grillo a Porta a porta si è rivelato un autogol),
ma è stata questa la diagnosi di Casaleggio, che per scampare alla
“omologazione” ha esortato a un nuovo Aventino catodico. Un errore, sia perché
Di Battista a Bersaglio mobile portava voti e sia perché, se i Di Maio
non vanno in tivù, al loro posto ci va qualcun altro. Per esempio Mario
Giarrusso, misteriosamente convinto di essere efficace sul piccolo schermo
(lo è, ma per il Pd), o peggio ancora gli sfollatori di consenso come Becchi
e Martinelli, che ovviamente vengono invitati apposta dai conduttori:
per far sembrare che tutti i “grillini” siano invotabili come quelli lì.
Grillo e la maggioranza dei parlamentari 5 Stelle
credono che la strategia giusta sia una curiosa alternanza tra passato e
futuro: il passato è la riscoperta dell’agorà, il futuro è la Rete. Legittimo.
Solo che, dalle Europee in poi, una tattica simile – che verrà in parte
ripensata da settembre – ha lasciato campo aperto alle supercazzole dei
renziani, liberi di sproloquiare in ogni salotto televisivo possibile. Sicuri
che sia questa la strada maestra? Nel frattempo Grillo continua a cercare
quella sintonia. Senza mai trovarla appieno.
mader
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