Come ben
aveva intuito in tempi non sospetti Daniele Luttazzi, quando migliaia di
persone urlano esaltate davanti alla distruzione di un pc e, la volta dopo,
dinnanzi alle mirabilia che quel pc promette, la reazione del destinatario non
è da imputare al contenuto del messaggio, ma a come è stato messo in forma.
Giuseppe
Tipaldo, ricercatore e docente universitario, per Il
Fatto Quotidiano
All’inizio
erano i teatri, a Torino il Colosseo di via Madama Cristina e l’Alfieri
di piazza Solferino. Poi i teatri non bastavano più, ci voleva il Palastampa,
a fianco del Delle Alpi, oggi Juventus Stadium. Ma il risultato era sempre lo
stesso: una platea gremita da un pubblico osmoticamente connesso con un uomo la
cui energia era capace di andare ben oltre la gittata delle goccioline di
sudore che, copiose, spandeva sulle prime file.
Era il 1999,
forse il 2000, ed ero una matricola universitaria: seguivo Beppe da sempre,
perché in famiglia Grillo era già da un decennio percepito come un opinion
leader più che un “semplice” comico, assurto quasi a venerabile martire
dopo la stupenda barzelletta sui socialisti in viaggio a Pechino che gli costò,
di fatto, la carriera sulla tv pubblica. Da quel 1999 ho vissuto, come migliaia
di spettatori in tutta Italia (e non solo), l’ebrezza di tutti i tour di
Beppe: ridevo a battute fulminanti, come quella sulle ragadi del canguro nano,
mi commuovevo davanti ai testimoni di mafia che hanno scelto di denunciare
(avendone la vita sconvolta per sempre), mi indignavo per gli scandali
segnalati con largo anticipo rispetto ai tradizionali canali infirmativi e
scoprivo in anteprima servizi web oggi ben noti ma all’epoca ai più
sconosciuti, come Wikipedia e Skype. Chi è passato da quei tour
sa di cosa parlo.
In quel
turbine di emozioni, certamente preda dell’ingenuità che ai vent’anni si può
perdonare, mi sembrava che nulla avrebbe potuto scalfire il consenso che
Grillo si stava guadagnando sul campo, esposto in prima persona a continui
rischi di boicottaggio e fallimento. Mi sembrava poi, e da un punto di vista
sociologico è assai più significativo, che il comico genovese fosse l’unica
fonte di informazione credibile a disposizione in Italia. Per il
resto, complotti. Ovunque. L’auto a idrogeno era da tempo nei cassetti delle
multinazionali dell’auto, che si guardavano bene dall’immetterla sul mercato
pressate dalle corporation petrolifere; la conoscenza aperta e democratica
(cioè, nel vocabolario grillino, “dal basso”) era a portata di click www.wikipedia.org, ma al tour precedente
Internet era una “tecnologia che ci prende per il culo”; la maggior parte degli
alimenti di largo consumo erano zeppi di metalli pesanti emessi dagli
inceneritori (la battuta sugli stronzetti duri come il titanio per colpa delle
macine mi fa ridere ancora adesso), che si reggono economicamente solo grazie
alla legge (lui direbbe truffa) dei Cip6. Ogniqualvolta l’occasione lo
consentiva (e, talvolta, anche quando non lo consentiva, proprio come nel caso
degli inceneritori, ma ci torneremo altrove) la situazione italiana era resa
ancora più impietosa dal confronto con l’estero.
Quelli che
ho richiamati sono pochi esempi, necessariamente ridotti in funzione dello
spazio a disposizione, ma non scelti a caso. Il primo, allo stato delle
conoscenze attuali, è palesemente un’illazione. L’elogio incondizionato
di Wikipedia, invece, è sintomo di una lettura banale e banalizzante delle
potenzialità dei new media: non si tratta di esprimere giudizi di
valore, men che meno negativi, sull’ampliamento dell’offerta comunicativa
reso possibile dalla tecnologia, quanto di dotarsi degli strumenti minimi per
metabolizzare in maniera critica, cioè non passiva, il messaggio.
Un mestiere
ben più antico di Internet, ma quanto mai necessario nell’era digitale (è
sufficiente scorrere le pagine wiki di temi di cui siamo competenti per cogliere
che “dal basso” non si traduce per se in un attestato di qualità della
conoscenza). Infine, il caso degli inceneritori è forse il nodo più intricato:
sono pronto ad accogliere smentite ed eventualmente drizzare il tiro, ma né a
me né a miei colleghi patologi risultano in letteratura studi basati su
dati scientificamente attendibili che si richiamino esplicitamente alla lista
dei cibi contaminati da metalli presentata nel corso degli spettacoli. È invece
innegabile che, senza i contributi statali nascosti in bolletta, gli inceneritori
sarebbero economicamente insostenibili.
Non senza
qualche semplificazione, ma mi riprometto di ampliare nella discussione, gli
assi cardinali della strategia comunicativa perseguita da Grillo nei
suoi spettacoli possono essere così richiamati:
- Ricorso al verosimile (elementi di verità mescolati a dati e informazioni lacunose o inattendibili) sul piano fontologico;
- Banalizzazione della complessità originaria della fonte sul piano del contenuto;
- Combinazione di uno stile retorico-persuasivo e di un tono emotivo-suggestivo dal punto di vista della forma.
Come ben
aveva intuito in tempi non sospetti Daniele Luttazzi, quando migliaia di
persone urlano esaltate davanti alla distruzione di un pc e, la volta dopo,
dinnanzi alle mirabilia che quel pc promette, la reazione del destinatario non
è da imputare al contenuto del messaggio, ma a come è stato messo in forma
dall’emittente.
mader
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