Sottoporre al giudizio dei cittadini un quesito
sull’opportunità che l’Italia rimanga nell’euro è stato uno dei ritornelli che
hanno accompagnato la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle. Il referendum
sull’euro, appunto.
Un inganno giuridico, né più, né meno. Vediamo perché.
I referendum consentiti dalla Costituzione sono di vario tipo: abrogativi,
confermativi, consultivi. Diciamo subito che il referendum confermativo è
previsto per il limitatissimo caso disciplinato dall’art. 138 Cost., relativo
alla revisione costituzionale. Non ci interessa. Restano quello abrogativo e
quello consultivo. Vediamo:
1) l’Italia ha aderito all’euro in forza
del Trattato di Maastricht, ratificato dal nostro Paese con legge n. 454 del
1992. La Costituzione italiana, all’art. 75, vieta di sottoporre a referendum
abrogativo le «leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali» e,
dunque, anche le leggi di esecuzione degli stessi. Ciò basta per dire che non è
ammissibile un referendum per revocare l’adesione italiana alla moneta unica.
2) Un’altra norma costituzionale,
introdotta con la cd. riforma del Titolo V del 2001, prevede che le leggi
italiane debbano essere conformi «ai vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario». Anche questo è un elemento che sembra impedire un atto di
legislazione negativa (quale è il referendum abrogativo) contrastante con il
contenuto di un atto del diritto comunitario originario (appunto un Trattato).
3) Ci sarebbe, dunque, il referendum
consultivo. Anzitutto, come dice la parola, è “consultivo”. E, in ogni caso, è
previsto dalla Costituzione solo in relazione a limitatissimi casi,
disciplinati dall’art. 132. Si tratta della fusione di più Regioni, della
creazione di nuove Regioni, o del passaggio di Province e Comuni da una Regione
ad un altra. Insomma, anche questo non ci interessa.
4) È vero che nel 1989 si fece un
referendum consultivo sull’Europa. Più precisamente sull’opportunità di
affidare al Parlamento europeo un ruolo “costituente”. Per far ciò, tuttavia,
si approvò un’apposita legge costituzionale, la n. 2 del 1989. Oggi non sembra
che il MoVimento disponga delle maggioranze richieste dall’art. 138 Cost. per
approvare una legge costituzionale…
5) Resterebbe, dunque, il referendum
regionale. La strada, cioè, sarebbe quella di celebrare, in ogni regione, un referendum
consultivo sull’euro. Al di là della difficile realizzabilità pratica, anche
questa strada appare illegittima: è vero, infatti, che le Regioni possono
prevedere negli Statuti i referendum consultivi, ma questi devono vertere su
materie di interesse regionale. Qui, invece, l’interesse è addirittura
sovranazionale!
6) Si legge in alcuni blog che Grillo
vorrebbe fare il “referendum” on-line. Se è così, è tutta un’altra storia: non
si tratta nemmeno lontanamente di un atto giuridico, bensì di un semplice
sondaggio, privo di qualunque conseguenza. Se si vuole trasmettere una più
corretta informazione, dunque, è meglio scegliere attentamente le parole: il
referendum è un istituto del mondo del diritto, capace di produrre conseguenze
giuridiche ben precise. I sondaggi, per contro, sono strumenti di tutt’altra
natura, senza alcuna capacità di incidere in via diretta sul mondo delle
regole. Quello del diritto appunto. Nessun sondaggio, dunque, anche qualora
fosse eseguito secondo la migliore scienza (il che è tutto da verificare…)
potrebbe – ipso iure, come si dice – portare l’Italia fuori dall’euro. E
per fortuna.
mader
Lorenzo Cuocolo per ilricostituente
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