sabato 27 dicembre 2014

IL DECLINO DEI GRILLINI IN SETTE PUNTI



L'inizio di una nuova era o l'inizio della fine? Il Movimento 5 stelle è al bivio decisivo della sua breve e intensa vita.
Dal 2007 a oggi i pentastellati, da semplice gruppo di protesta, sono diventati una forza politica determinante: addirittura la prima alle elezioni di febbraio 2013.
FINITO L'EXPLOIT. Da quell'exploit non sono passati nemmeno due anni, eppure il M5s sembra già in disfacimento, con espulsioni continue di cittadini-portavoce, dimissioni dei parlamentari, insulti e minacce dagli attivisti e simpatizzanti, il capo politico «un po' stanchino» e il gruppo dirigente, il primo della breve storia, spaccato esattamente a metà dopo la nomina del Direttorio.
COME UN PARTITO. Una situazione molto simile a quella che ciclicamente si verifica all'interno degli odiati partiti.
Ma come hanno fatto i «guerrieri meravigliosi» di Beppe Grillo a ridursi in questo modo, e in così breve tempo?


Proviamo a individuare i passaggi fondamentali del declino:

1. «Uno vale uno», ma alla fine comanda Grillo


Il principio base del M5s è sempre stato quello che «uno vale uno». O almeno questo credeva chi ha deciso di mettersi in gioco in prima persona.
Con il passare dei mesi, però, è emersa prepotente e palese la contraddizione tra i dettami fondativi e la reale gestione del gruppo da parte dei fondatori, visto che il marchio dei pentastellati è di proprietà di una sola persona (Grillo) e il blog, su cui è attiva la piattaforma di partecipazione, è gestito unilateralmente dalla Casaleggio Associati.
VOTO ONLINE REGOLARE? Inoltre, che si tratti di parlamentarie o di provvedimenti di espulsione, non esiste ancora oggi un sistema esterno che certifichi la regolarità del voto online degli iscritti.
Tutto questo ha sempre creato qualche dubbio nelle coscienze dei portavoce pentastellati, ma fino a quando le cose sono andate bene, nessuno si è mai sognato di chiedere spiegazioni.

2. Chi critica le decisioni rischia l'espulsione


Forse memori di quanto accaduto a Giovanni Favia e Federica Salsi, i primi a essere espulsi per non aver rispettato il codice imposto dal M5s, molti grillini hanno preferito ingoiare il rospo in molte occasioni, per evitare sgradite conseguenze. Ma a lungo andare è diventato fisiologico iniziare ad alzare la voce per segnalare malumori o potenziali storture: questo comportamento, però, è sempre stato condannato duramente, prima dai capi politici e poi dalla Rete degli iscritti, che hanno provveduto a mandar fuori tutte le voci fuori dal coro.
COSMOGONIA GRILLINA. Il pugno duro ha così finito per ritorcersi contro il M5s. Alcune espulsioni sono apparse frettolose e qualche volta addirittura con motivazioni 'deboli'. È questo ha facilitato le divisioni in gruppi e gruppetti.
Tra loro c'è chi ha scelto di non contraddire mai le decisioni e chi, invece, quei provvedimenti li ha subiti suo malgrado.
Sono nati così i 'talebani', gli 'ortodossi', i 'fedelissimi' e i 'dissidenti': la cosiddetta cosmogonia grillina, che ha definitivamente spaccato un gruppo così ampio di persone che, in realtà, si conosceva solo sul web (e a volte nemmeno sulla Rete).

3. Lo scontro tra fazioni (anche) per questioni di soldi


La resa dei conti in casa pentastellata, poi, non è soltanto una metafora per indicare lo scontro tra fazioni. In alcuni casi si è trattato proprio di una questione di vil danaro.
I primi espulsi, da Orellana a Campanella (che lunedì 1 dicembre ha presentato una piattaforma d'intervento contro nuove frane e alluvioni), infatti, furono tacciati di voler solo «intascare» l'intero stipendio più la diaria e non restituire parte delle indennità ai fondi indicati dal M5s.
INSULTI EGLI EPURATI. Stessa sorte toccata ultimamente anche a Tommaso Currò, che ha lasciato il gruppo della Camera in dissenso con la linea politica del partito, e subendo poi una valanga di insulti e minacce. Ancora oggi i problemi nascono proprio dai soldi. Perché Massimo Artini e Paola Pinna, gli ultimi epurati in ordine cronologico, sono stati messi alla porta con l'accusa di non aver versato le quote spettanti. Accusa che i due hanno rifiutato con forza, portando come prova i bonifici pubblicati sui loro siti internet.

4. La gestione poco trasparente dei rimborsi


Pinna e Artini, in effetti, i soldi hanno dimostrato di averli versati, ma insieme con altri 17 parlamentari si erano rifiutati di pubblicare le prove sul sito Tirendiconto.it, creato dalla Casaleggio Associati, dalla gestione ancora poco chiara, almeno a detta dei grillini.
Le chiavi del portale, così come quelle del blog, sono saldamente nelle mani di Gianroberto Casaleggio e dei suoi collaboratori, e ogni cosa che non passa da loro non è riconosciuto dal M5s.
STAFF MISTERIOSO. Eppure, non tutto funziona come dovrebbe, se più di un deputato, anche tra i 'talebani', si è lamentato per la scarsa trasparenza: ogni volta che qualcuno di loro ha provato ad avere informazioni, a rispondere era sempre un fantomatico 'staff', senza un nome e un cognome o una faccia.

5. Il Direttorio è considerato una provocazione dai dissidenti


Chi la faccia ce l'ha messa, sono invece i cinque 'prescelti' per dare vita al Direttorio che farà da collante tra il vertice e i parlamentari.
Mentre infuriavano le polemiche per il flop alle Regionali e le nuove epurazioni, Grillo ha affidato le chiavi del M5s ai suoi fedelissimi Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Carla Ruocco, Carlo Sibilia e Roberto Fico. Questi nomi, per essere chiari, stanno bene ai vertici e a una metà della truppa parlamentare, ma sta decisamente sulle scatole a tutto il resto dei cittadini-portavoce.
NUOVI ADDII. Per questo motivo i contrari hanno preso le nomine come una provocazione nei loro confronti, un tentativo di surriscaldare gli animi per accelerare una scissione. Per ora non si preannunciano uscite di massa ma sono almeno 30 i parlamentari con le lettere di dimissioni pronte e chiuse nei cassetti delle loro scrivanie, da tirare fuori se la situazione dovesse precipitare.
Gli addii della pattuglia di Latina, del deputato Cristian Iannuzzi e di sua madre, la senatrice Ivana Simeoni e dell'altro membro dell'assemblea di Palazzo Madama, Giuseppe Vacciano, sono una prova inconfutabile.

6. Il nodo del dialogo con la maggioranza osteggiato dal leader


Con tutte queste grane, e nonostante le rassicurazioni dei diretti interessati che «gli equilibri interni non cambieranno», si preannuncia dunque in salita il cammino per il nuovo Direttorio.
Una parte di movimento chiede che i toni cambino immediatamente, magari iniziando anche un dialogo con la maggioranza, come accaduto proficuamente con la recente l'elezione del membro laico al Consiglio superiore della magistratura. Altri invece non cambierebbero una virgola del tipo di opposizione condotto finora.
INCOGNITA DEL VOTO. Interessante capire, a questo punto, chi la spunterà. Anche da questo dipenderà, infatti, il destino del M5s: continuare il «costruzionismo» mentre altri portano a casa risultati finora non ha giovato al non-partito grillino, che rischia di arrivare in debito di ossigeno e di consensi alle prossime regionali di marzo. E forse alle Politiche, se il quadro a livello nazionale dovesse improvvisamente cambiare.

7. Il dietrofront sui talk show e l'apertura del movimento


Se così fosse, servirebbe anche un cambio di rotta nella comunicazione. La scelta di evitare i talk show o le trasmissioni politiche in generale (divieto non valido per i cinque del Direttorio), non va giù a molti cittadini-eletti, così come a una buona fetta di attivisti e frequentatori del blog.
Fino a quando non c'era una classe dirigente nel M5s, le teorie di Grillo sono andate anche bene, ma ora che qualche volto è diventato di dominio pubblico, rinunciare al piccolo schermo appare un suicidio inspiegabile.
SOLO TIVÙ LOCALI. Eppure lo stesso ex comico ha scritto, nero su bianco, che «il blog non basta più», ma per ora la Rete ha deciso di accettare gli inviti provenienti solo dalle tivù locali, snobbando le trasmissioni a diffusione nazionale.
Sarà questa la scelta vincente? Solo il tempo potrà dare la risposta. Sempreché a furia di espulsioni e diktat, nel M5s non ne resti solo uno. Che sempre più spesso non vale uno...

mader

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