La
“rivoluzione” a 5 Stelle? Richiede tempo. Parola di Federico Piccitto,
sindaco pentastellato di Ragusa, in sella ormai da più di un anno, dopo che al
ballottaggio nel giugno del 2013 ha sconfitto con il settanta per cento dei
voti Giovanni Cosentini, appoggiato da Pd, Udc e Pdl “La
rivoluzione richiede tempo, noi possiamo provare a cambiare la parte politica.
Ma l’amministrazione passa anche dal rapporto coi dirigenti, con la burocrazia”
spiega Piccitto, ingegnere trentottenne, camicia con le maniche svoltate e modi
garbati tipici di chi è cresciuto tra i salesiani.
Dicono che
nel giorno della vittoria, quando i ragusani decisero di eleggere il primo
sindaco a 5 Stelle di Sicilia, davanti al Comune, in mezzo alle meraviglie
barocche, si riversarono a migliaia per festeggiare la nuova era. Oggi, tredici
mesi dopo quel giorno storico, gli entusiasmi nel capoluogo più a Sud
d’Italia sembrano più sopiti. “Il primo anno di Piccitto? Mah, niente di
straordinario per adesso.
Piccitto, però, a differenza degli altri sindaci
pentastellati d’Italia, può ritenersi fortunato. La città iblea, infatti, è un
caso anomalo rispetto agli altri centri che hanno deciso di affidare la
poltrona di primo cittadino ad un esponente del Movimento 5 Stelle. A
differenza di Bagheria e di
Parma, per esempio, la
situazione economica della città di Ragusa non è disastrosa: solo quest’anno
nelle casse del comune sono arrivati circa 14
milioni di euro, le royalties delle aziende
petrolifere che estraggono oro nero nei dintorni. È per questo
che i ragusani hanno eletto Piccitto: per ottenere un cambio di passo, una
rivoluzione che tramutasse la città dei ponti in un centro moderno.
Ma nei primi dodici mesi però la rivoluzione a 5 Stelle è
rimasta per il momento in sonno.
mader
Articolo originale su Il
Fatto Quotidiano
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